Molto
spesso si sente parlare, e si legge, sulla “Storia dei Gioielli”.
Personalmente ritengo più valido ed interessante raccontare non
tanto la storia dei gioielli
in sé e per sé quanto, piuttosto, la storia attraverso i
gioielli. In questo modo si può variare la prospettiva attraverso la
quale è normalmente studiato un fatto storico – l'analisi e
l'interpretazione di eventi politici, militari, economici, sociali e
culturali – servendoci, invece, dei gioielli attinenti a quello
specifico avvenimento, a quel periodo od a quel personaggio,
osservati senza limiti di spazio e di tempo, come da una mongolfiera
che si libra alta nel cielo. In altre parole non si ricerca la
storia del gioiello, bensì il gioiello nella storia, ovvero i fatti
ed antefatti storici, economici, artistici, geopolitici e logistici
che sono alla base di questo complesso settore e che formano la
cultura del gioiello, ovvero
quella felice fusione di conoscenza, memoria e filosofia – l’eco,
insomma – irradiata da un oggetto prezioso e troppo spesso
ignorata. 1
Per
fare ciò bisogna anzitutto avere le idee ben chiare su che cos’è
e come nasce un gioiello: a questo proposito rimandiamo ad una
precedente pagina di questo stesso blog dove è stata esposta la
“Teoria delle Sette Note”, ovvero i sette elementi della
creazione di un gioiello. Sarà tuttavia necessario fare alcune
ulteriori considerazioni. La prima è che, in teoria, i gioielli
possono costituire una delle chiavi per meglio comprendere un’epoca
in quanto sono legati ad un particolare momento storico ed artistico;
nella realtà, invece, essi hanno una vita breve anche se è
difficile comprendere come degli oggetti realizzati con gli elementi
più durevoli che si trovino in natura, risultino essere fra i più
effimeri. La loro caducità deriva proprio dall'intrinseco valore
venale derivante da oro, diamanti e pietre preziose in essi
racchiusi. Ne consegue che il frutto del lavoro spesso oscuro di
minatori, tagliatori ed orafi diviene l’oggetto del desiderio di
regine, imperatori, cortigiani, banchieri, mercanti, ladri e
cardinali.
I
gioielli sono sempre stati smontati e rimontati, venduti e
ricomprati, rubati e ipotecati, persi e dimenticati; sono serviti per
creare regni, finanziare guerre, corrompere uomini, blandire donne.
Anche la moda è fra i loro peggiori nemici: quando passano da una
generazione all’altra vengono trasformati secondo il capriccio del
momento e nulla resta della loro esistenza se non una fugace menzione
in un inventario od in un testamento. 2
Può sembrare una contraddizione, ma se si vuole veramente lasciare
un messaggio per l’eternità, forse è meglio tracciarlo sulla
carta, dipingerlo sulla tela o scolpirlo nel marmo.
La
seconda importante considerazione è che le pietre, i gioielli e gli
oggetti storici di cui si tratta in questo articolo, per la massima
parte sono stati ideati, creati ed indossati prima dell’invenzione
della luce elettrica all’inizio del 1900. Bisogna quindi cercare
d’immaginarli in ambienti molto spesso vasti e delicatamente, è il
caso di dire, illuminati da candele e camini.
Infine
bisogna anche ricordare che tutte le pietre incastonate in un
gioiello – sia quelle molto rare, belle e preziose come quelle più
comuni – sono documenti ed attestazioni delle infinite meraviglie
che il mondo minerale produce e l'uomo trasforma.
Di
seguito elencheremo alcuni gioielli che, per dirla pomposamente,
hanno “cambiato la storia”, cercando di non dimenticare mai che
la storia dell'oro ha sempre seguito di pari passo la storia
dell'uomo – per il quale i gioielli rappresentano un simbolo, una
forma di comunicazione ed un modo di distinguersi – e spesso ne ha
accompagnato e sottolineato gli avvenimenti più importanti in una
sorta di affascinante meccanismo.
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Durante il fatidico incontro fra il conquistador spagnolo
Hernàn Cortès e l'imperatore degli aztechi (o mexica)
Montezuma II che ebbe luogo l'8 novembre 1519 alle porte della
splendida capitale Tenochtitlàn (la futura Città del Messico), i
due personaggi si scambiarono doni preziosi. 3
Cortès dette all'imperatore una rilucente collana 4
e Montezuma ricambiò con un monile composto di rare conchiglie rosse
ed otto gamberi a grandezza naturale finemente lavorati in oro.
Probabilmente Montezuma già immaginava come sarebbe andato a finire
quell'incontro, poiché i conquistadores indossavano elmi ed
armature in acciaio, avevano sciabole affilate, archibugi, piccoli
cannoni, cavalli e cani mastini addestrati alla guerra, mentre gli
aztechi vestivano le piume variopinte degli uccelli sacri, erano
armati di asce, frecce e lance con punte di ossidiana 5
ed ancora non conoscevano l'uso della ruota. Pochi giorni dopo,
infatti, Montezuma era già prigioniero di Cortès e, a giugno del
1520, era morto insieme ad altre migliaia di indios: tutto
l'oro, l'argento, la giada, gli smeraldi, le perle, i gioielli
rituali e qualsiasi altra cosa rara e preziosa si potesse razziare in
quella terra di conquista – non dimenticando un gran numero di
schiavi – sarebbe stata sollecitamente mandata al di là
dell'oceano. La raffinatezza e la ricchezza dei tesori aztechi – e,
successivamente, di quelli sottratti agli Incas del Perù –
determinò un’evoluzione dell’uso, del gusto e delle forme degli
ornamenti preziosi per tutto il resto del XVI secolo alle corti
europee.
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Esiste un'altra collana che ha scandito i momenti più esaltanti
dell'inarrestabile ascesa e la rovinosa caduta di Napoleone
Bonaparte: è la “collana del Re di Roma” che, con la luminosità
dei suoi splendidi e rari diamanti, ha gettato sprazzi di luce su un
periodo storico pieno di colpi di scena e sui suoi maggiori
protagonisti, arrivando fino ai nostri giorni.
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Nell'India antica i diamanti più grandi che si trovavano in quelle
miniere erano destinati ai regnanti, mentre le pietre di colore rosso
spettavano ai guerrieri. E' fuori di dubbio che i diamanti hanno
sempre simboleggiato il potere, la ricchezza, lo sfarzo ed anche
l'amore, talvolta. 6
Nel corso della storia, tuttavia, le loro vicende si sono spesso
intrecciate con quelle di leggendari spinelli rossi e, non a caso,
sono stati incastonati insieme sulle corone imperiali più importanti
del mondo – come avvenne al cosiddetto “rubino del Principe Nero”
con il Cullinan ed al “rubino Timur” con il Koh-i-noor –
tenendo presente che, in molti casi, a qualcuno tornava utile
confondere il costoso ma piccolo rubino con il grande e più
economico spinello.
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Parlando di simboli, quello più diffuso e durevole nei secoli resta
comunque la Croce come il segno supremo di tutta l'era cristiana. Già
destinato da alcuni popoli orientali a traditori, ribelli e
prigionieri di guerra, l'atroce supplizio della crocifissione
cominciò ad essere praticato anche a Roma verso il il 200 a.C. per
punire i rei di brigantaggio e gli schiavi rivoltosi ma non poteva
essere inflitto ad un cittadino romano (civis romanus).
7
La raffigurazione stessa del Cristo crocifisso era “scandalo per
i Giudei, stoltezza per i Gentili” 8
come S. Paolo scrisse nella Prima Lettera ai Corinzi (1,23) ossia
scandalizzava gli Ebrei che non potevano concepire nessuna fragilità
nel Messia e suscitava disprezzo nei pagani poiché la visione di Dio
appeso alla croce era assurda ed irragionevole; quel supplizio,
altresì, intimoriva i neofiti (chi si era appena convertito al
Cristianesimo). 9
Perché la Croce diventasse il simbolo universale che tutti
conosciamo, Costantino dovette concedere la libertà di culto ai
cristiani con l'editto del 313 d.C. e convertirsi egli stesso nel 337
sul letto di morte. 10
Intorno al 392 Teodosio abolì la pena della croce e, nei secoli
successivi, quest'icona venne così a perdere tutte le sue
connotazioni più negative.
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Per ciò che riguarda oreficeria e gioielleria, la Croce segna la
linea di separazione fra l'arte sacra e quella profana, così come fu
stabilito nel codice di Giustiniano redatto verso la metà del VI
secolo. L'oreficeria sacra era, infatti, destinata al clero ed al
culto e faceva parte dell’arredo liturgico: calici e vasi
tempestati di pietre e paste vitree, reliquari ed ostensori
preziosissimi, rilegature di vangeli in smalti policromi non potevano
essere venduti né dati in pegno salvo che servissero per riscattare
i prigionieri 11
o per essere fusi e donati al popolo, in qualche modo anticipando di
mille anni l’istituzione dei Gioielli della Corona da parte di
Francesco I, re di Francia.
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Il razionale (dal latino rationale, attinente alla ragione) è
un elemento decorativo in materiali preziosi che ha la funzione di
chiudere sul petto il piviale (dal latino pluvialis), il
paramento sacro con la forma di ampio mantello a semicerchio aperto
sul davanti: oggi poco usato, nell'alto Medioevo era indossato dal
pontefice durante le processioni solenni in caso di pioggia. Questo
gioiello liturgico affonda le sue radici nell'Ebraismo poiché nel
IX-X secolo i papi si arrogavano alcune prerogative che
appartenevano ai sommi sacerdoti dell’Antico Testamento, cioè
insegnare la vera dottrina alla popolazione ed esserne un saggio
giudice. Nel libro dell'Esodo, infatti, è scritto che il Signore
dette a Mosè dettagliate istruzioni su come fabbricare il “pettorale
del giudizio” con incastonate le dodici pietre preziose a
rappresentazione delle dodici tribù d’Israele. Così realizzato,
il pettorale avrebbe guidato il gran sacerdote 12
del tempio di Gerusalemme nei giudizi più complessi. Nella liturgia
cristiana il pettorale del giudizio è diventato il razionale.
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La gioielleria profana si sviluppò, invece, come ornamento della
persona ed era ad uso esclusivo della nobiltà: solo la famiglia
imperiale ed il suo seguito immediato poteva indossare i gioielli più
sfarzosi, così come solo i finimenti del cavallo dell’imperatore
potevano essere adornati con abbondanza di pietre e perle. Il codice
di Giustiniano, infatti, stabiliva che tutti i gioielli dovevano
essere realizzati esclusivamente dagli orafi di corte ma la
popolazione di Costantinopoli (l'antica Bisanzio, l'odierna
Istanbul), sempre più amante del lusso e del bello, seppe ben presto
ovviare a queste limitazioni e s’ingegnò a creare autonomamente in
casa propria od in laboratori clandestini una gran quantità di
oggetti decorativi fatti con materiali più o meno pregiati. Molto
probabilmente l'ispirazione veniva dalle culture che si erano
sviluppate nei territori limitrofi delle steppe eurasiatiche durante
tutto il primo millennio a.C. Se è, infatti, vero che svariate
culture hanno influenzato lo stile di ori e gioielli creati dai
nomadi o per i nomadi, è altrettanto vero che questi, a loro volta,
hanno influito sugli stili apparsi successivamente in Russia ed in
Occidente, in quel perpetuo “rimescolamento” che è proprio
dell’arte orafa.
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A prescindere dall’intrinseco valore monetario, l’oro richiama
immediatamente l’attenzione per la sua luminosità e
quest’attrazione è rimasta immutata e fortissima nel corso
plurimillenario della storia dell’uomo. Cionondimeno, le Amazzoni –
guerriere, sacerdotesse, principesse risplendenti di ori e gioielli,
donne talmente vere e reali da sconfinare nella leggenda – seppero
superare il limite monocromatico dell’oro aggiungendo ai loro
monili colore, movimento e suono attraverso l’impiego di paste
vitree e pietre colorate: le Amazzoni furono, insomma, le prime donne
a creare il “gioiello totale”. Nei secoli successivi, queste
ataviche caratteristiche di luce, colore e movimento ritornarono nei
maestosi gioielli delle zarine russe.
Ed
infine, la bellezza. Forse per farci coraggio in questo nostro mondo
caotico, rumoroso ed impreciso, diciamo “... la bellezza ci
salverà ...”. Sì, quella bellezza che nasce spontanea,
silenziosa, sovrana al conseguimento della perfetta armonia fra
calma, lusso, voluttà e conoscenza, memoria, filosofia.
1Anticamente
l'allegoria della Storia (dal greco historìa, ricerca e
historèin, informarsi) era raffigurata come una donna alata
e maestosa che scrive su un libro appoggiato sul dorso del Padre
Tempo.
2La
problematica della caducità dei gioielli era ben nota al grande
collezionista Guglielmo Gonzaga (1538-1587, terzo duca di Mantova)
che affermò: “... le belle pitture son gemme, non facili ad
esser rubate ne' ad esser mandate da questa a quella mano, come i
rubini e i diamanti ...”
3Si
può essere assolutamente precisi riguardo le date e gli avvenimenti
della conquista del Messico da parte degli spagnoli poiché esistono
dei rendiconti di prima mano – come quello redatto da Bernal Dìaz
del Castillo, soldato e cronachista al seguito di Cortès – o
immediatamente successivi – come quello del frate francescano
Bernardino de Sahagùn. Cortès stesso informò scrupolosamente
l'imperatore Carlo V attraverso cinque accuratissime Cartas de
Relaciòn (lettere di relazione) spedite regolarmente fra il
1519 ed il 1525: quella che riporta l'ingresso a Tenochtitlàn ed il
primo incontro con Montezuma è la seconda lettera, datata 30
ottobre 1520.
4Non
è chiaro se questa collana fosse composta da perle di vetro, di
zircone o di mare. In quest'ultimo caso sarebbero sicuramente state
pescate nelle acque dell'isola Margarita, sulle coste del Venezuela,
scoperta nel 1498 durante il terzo viaggio di Cristoforo Colombo
verso quelle terre che egli ancora pensava fossero “le Indie”.
5L'ossidiana
è una roccia vetrosa, quindi relativamente fragile, di origine
vulcanica dal caratteristico colore nero lucido usata fin dal
Neolitico per farne superfici taglienti usate come armi ed utensili.
6Il
termine “diamante” deriva dal greco adàmas (invincibile)
e diaphanès (trasparente) ed è molto simile in tutte le
lingue europee (diamond, diamant, ecc.). Gli equivalenti sono
vairam nell'antica lingua tamil dell'India meridionale e
diamas in tardo latino.
7Spartaco,
il gladiatore nato in Tracia, perì in battaglia mentre i seimila
schiavi suoi compagni di rivolta furono crocifissi lungo la via
Appia, da Capua fino a Roma, nel 71 a.C.
9Saulo
nacque a Tarso (Asia Minore, Turchia) intorno all'anno 8 d.C. da
genitori ebrei, fabbricanti di tende, che beneficiavano della
cittadinanza romana. Anche se non incontrò mai il Messia, si
convertì al Cristianesimo, assunse il nome di Paolo e compì
numerosi viaggi in cui si adoperò per propagare la nuova fede anche
attraverso la diffusione di tredici Lettere che sono uno dei
pilastri della dottrina. Fra le più importanti vi sono le due
scritte (fra il 54 ed il 52 circa) agli abitanti della città di
Corinto, un grande porto del Peloponneso che si affaccia sui mari
Ionio ed Egeo. A causa del suo protratto apostolato missionario,
Paolo fu martirizzato nell'anno 63 circa, ma non sulla croce come
gli altri apostoli Pietro, Andrea e Filippo: poiché era cittadino
romano egli fu decapitato.
10E'
notissima la leggenda del sogno dell'imperatore Costantino secondo
la quale, nella notte prima della battaglia decisiva contro il
rivale Massenzio a Saxa Rubra (sulla riva destra del Tevere presso
Ponte Milvio, il 28 ottobre 312), vide una croce portata da un
angelo che gli annunziava “In hoc signo vinces” (Con
questo segno vincerai). Costantino fece quindi cambiare l'effigie
dell'aquila romana che appariva sui vessilli del suo esercito con
quella della croce e sconfisse Massenzio che, nella ritirata, annegò
nel fiume con il suo esercito.
In un'altra pia leggenda
diffusasi con molte versioni in contrasto fra di loro, i simboli
della Croce e della regalità sono indissolubilmente legati a
significare la trascendenza della sacralità divina commista al
potere terreno. Si racconta che Elena (ca. 255-335, la locandiera
che fu madre di Costantino, imperatrice e poi santa) verso la fine
della sua vita si sarebbe recata sul Golgota sopra Gerusalemme per
cercare la Vera Croce sulla quale il corpo di Cristo era stato
sacrificato. Dopo averla ritrovata insieme ai chiodi usati per
trafiggerlo, Elena ne trasportò una parte a Roma (basilica di S.
Croce in Gerusalemme) e fece saldare uno dei chiodi nell'elmo da
combattimento del figlio Costantino. Successivamente questo stesso
chiodo sarebbe andato ad ornare la parte interna della Corona
Ferrea, un antichissimo diadema gemmato con il quale furono
incoronati vari re d'Italia, da Berengario nell'anno 888 fino a
Napoleone nel 1805. Oggi è conservata nel Duomo di Monza.
Gli episodi del sogno e della
vittoria di Costantino così come quello dell'Invenzione (dal latino
inventus, ritrovamento)
della Vera Croce, appaiono nel monumentale affresco eseguito da
Piero della Francesca nella Cappella Bacci della Basilica di S.
Francesco ad Arezzo verso la metà del XV secolo.
11A
questo proposito è opportuno ricordare che nel 1527 papa Clemente
VII de' Medici fece fondere molte delle tiare e dei gioielli papali
per raccogliere i 400.000 ducati chiesti come riscatto
dall'imperatore Carlo V che aveva invaso Roma, ossia circa 1400
chilogrammi d'oro fino poiché un ducato pesava 3,5 grammi.
L'episodio è ricordato sia nella Vita (libro I, capp. 38 e 39) sia
nel Trattato dell'Oreficeria (cap. 21) di Benvenuto Cellini, l'orafo
che aveva materialmente eseguito la fusione.
Il materiale per questo articolo è tratto dal libro CULTURA DEL GIOIELLO di Guido Giovannini Torelli, La Sapienza Editrice, Roma 2007.
Per contatti: culturadelgioiello@hotmail.it